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Cronodiario di un time traveller

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Porta Pia, Roma, 20 settembre 1870.
I cannoni rimbombavano ormai da cinque ore, io ero lì ad aspettare con l’interesse di uno studente svogliato, pensando a cosa avrei mangiato per cena, in attesa che quel gruppetto di ragazzi, per lo più ancora sbarbati che chiamavano genieri reali, finalmente finissero il proprio lavoro, ma soprattutto di sentire il fatidico…
“BOOMMM!”
“Alleluya!” La mia espressione liberatoria, gridata a gran voce, mi regalò più di uno sguardo in cagnesco.
“Si fa per dire…” mi scusai, ma non più di tanto, dopotutto io non ero lì per la loro causa, ma per lui: l’anziano tizio al mio fianco, basso e tracagnotto, con i lunghi baffi arrotolati all'insù e sguardo scintillante allucinato. Un triste esempio di nostalgico generale in pensione del 25esimo secolo. L’osservavo disgustato senza riuscire a smettere. Lui era felice come un bimbo che vede scattare la mezzanotte il giorno di natale ed è pronto a scartare il suo mega regalo. Solo che in quel caso era una bella breccia di circa trenta metri su un bianco muro storico.
“Per l’Italia unita: avanti!” Quello fu l’ordine impartito ai garibaldini per avanzare e attraversare l’apertura.
Nella confusione creatasi, tra grida, spari e crolli vari, riuscivo comunque a sentire le parole del mio cliente che recitava estasiato i famosi versi di De Amicis.
“…A porta Pia era tutta sfracellata; la sola immagine della Madonna, che le sorge dietro, era rimasta intatta…”
Osservavo quell’uomo con le braccia incrociate e la bocca distorta in una smorfia che voleva dargli apertamente del patetico, quando senza darci troppo peso posai lo sguardo sull’ufficiale al mio fianco e che ascoltava quei versi. 
Non tardò molto che si attivò nella mia mente Eloisa: un’antiquata intelligenza artificiale, che in teoria ha il compito di supportarci nei salti temporali, ma che in pratica nella maggior parte dei casi è offline, o ha poco campo. Questa volta, era una di quelle buone e mi ragguagliò sul chi fosse in realtà quell’interessato spettatore.
“Ad un attento esame spettrografico possiamo rilevare con la certezza del 99.98% che l’individuo alla sua destra è il celeberrimo scrittore Edmondo De Amicis.”
Il buon Edmondo stava avidamente registrando mentalmente le parole che avrebbe poi dovuto scrivere più tardi.
Adesso capite come si creano i paradossi temporali?
Il danno ormai era fatto e quindi decisi di riparare il riparabile. Con foga afferrai e sgrullai lo scrittore, col falso entusiasmo che ricordava quello di mia madre quando da piccolo mi diceva: "vieni qua che non ti faccio niente!”, per poi urlargli in pieno volto:
“È magnifico! Ce l’abbiamo fatta! Vi rendete conto che stiamo facendo la storia di Roma e dell’Italia!”
Il grande romanziere, ancora perso col pensiero nelle frasi ascoltate, cercava di svincolarsi inutilmente per cercare di carpire altre parole. Fu solo quando la mia presenza diventò davvero sgradevole, che decise con un secco, ma garbato strattone, di farmi mollare la presa. Per me andava bene, tanto ormai lo stupido che mi portavo dietro dal futuro aveva smesso di blaterare come un forsennato.
Ecco, appunto, perché aveva smesso? Semplice: l’idiota aveva deciso di non limitarsi al solo rivivere il glorioso momento storico presenziandolo come da contratto, ma si era fissato nel volervisi immergere completamente.
Con la spada sguainata in cielo, la foga di un ventenne e il passo incerto del sessantenne qual era, si era lanciato con ardore patriottico, ma per lo più suicida, attraverso la breccia nelle mura Aureliane a rivendicare un posto nella storia. Più probabilmente un proiettile e una lapide.
“Brutto deficiente!” urlai inseguendolo nella calca.
E questo mi riporta al motivo del perché vi stia raccontando tutto e credo che, per la vostra infinita gioia, sia giunta l’ora di presentarmi.

Ciao a tutti, mi chiamo Bill, ho 35 anni… non so se un diario neurale si dovrebbe iniziare così, però questo è il primo della mia vita e lo sto facendo solo perché me l’ha vivamente consigliato il mio psicologo.
"…la terapia cognitivo-comportamentale serve per trattare una grande varietà di disturbi mentali, quali l’ansia, la depressione, l’anoressia, la dipendenza o il disturbo bipolare… nel suo caso si tratta di una forma acuta di depressione…"
Si, soprattutto quando vedo lo stipendio e le tasse che hanno quasi azzerato la busta paga…
"…mireremo a cambiare il suo comportamento, individuando modelli di pensiero negativo e distorto."
Non sono negativo, sono solo preoccupato che una freccia indiana possa trapassarmi la schiena mentre sto cagando dietro un cespuglio e vi assicuro che è successo, non a me per fortuna, ma al povero Giannelli. Pace all'anima sua.
"Approssimativamente, bisogna partire dall'idea che molti dei comportamenti distruttivi sono solo una manifestazione di determinati pensieri, che a loro volta, fanno parte di un insieme di credenze, una visione del mondo e un modo di relazionarci che abbiamo sviluppato nel corso degli anni…"
Bah, io avrò pure una visione pessimista del mondo, ma forse perché nessuno di voi, grandi dottori, ha mai provato a relazionarsi con una guarnigione di nazisti incazzati che ti intima l'alt.
"…quindi, capire in che modo alcuni pensieri contribuiscono a causare o a mantenere uno specifico problema, per poi sostituire il modello di pensiero negativo con uno positivo!"
Beh, dopotutto pure lui dovrà campare e portare a casa lo stipendio in qualche modo…
"Tenere un diario neurale nel quale, oltre alle immagini registrate, si aggiungerà ciò che ha provato e pensato, soprattutto in quelle situazioni che hanno scatenato un'intensa risposta emotiva, l'aiuterà a comprendere le circostanze che li hanno generati, a scoprire i diversi schemi che spiegano da dove nasce l’ansia, la paura o la tristezza, imparando così a controllarla. Ovviamente vorrei sottolineare che tutto il materiale raccolto, oltre a essere criptato, è coperto dal più totale riservo professionale al quale nessuno potrà mai accedervi se non con la sua autorizzazione speciale e che comunque non è possibile utilizzarla in ambito legale in nessun modo."
In pratica, mi ha detto che se riporto tutto quello che mi succede su un diario terapeutico, visionandolo col senno di poi, potrei trovare le risposte all’apatia galoppante che mi attanaglia e il tutto protetto da un sistema salva privacy. Convinto lui… il bello è che io non ho richiesto l’aiuto di nessun strizzacervelli, ma mi è stato gentilmente imposto dalla Time Travel, l’agenzia di viaggi temporali per cui lavoro da, da… boh, una vita più o meno.
Voi direte che fico, Bill è un agente temporale, wow! No, alt, non è così fico credetemi. Innanzitutto non sono uno di quei super poliziotti tutti palestra e kung fu, ma un semplice accompagnatore turistico. Quindi scordatevi pistole superfighe o attrezzature quantiche da 25esimo secolo.
Il mio compito è quello di accompagnare dei ricconi annoiati in cerca di avventura, che sborsano cifre esorbitanti per rivivere un pezzo di storia, fargli da galoppino, mostrargli quello che vogliono vedere e sperare che non si caccino in guai abbastanza seri da dover chiamare la pattuglia temporale, i fighi di prima per intenderci. A dirla tutta non mi chiamo neanche Bill, sapete com’è: per motivi di sicurezza, per le cose che potrei raccontare, le persone coinvolte che potrebbero decidere di farmi causa, ecc… ecc… comunque, tutto questo preambolo è per cercare di capirci qualcosa con questa diavoleria tecnologica. Le istruzioni dicono che è adatto anche a un bambino di 4 anni e che basta indossare le lenti recording che abbiamo in dotazione per le escursioni (è il termine ufficiale con il quale hanno il coraggio di chiamare le missioni operative), scaricare l’apposita App aggiuntiva, avviare il diario neurale e parlare o… pensare decisi! Ma che cacchio significa pensare decisi? Se parli ad alta voce, senti quello che dici e anche se sembri un deficiente, continui con una certa logica, ma se pensi, generalmente ti vengono in mente mille cose che per lo più non centrano una benemerita con quello che si sta vedendo. Sapete quante volte ascoltavo al bar dell’agenzia quel petulante di Raimondi e pensavo alla visione delle cosce gentilmente esposte da Sara? (Ufficio paghe 34 bis).
Ma visto che devo fare questa cosa, preferisco farla a modo mio: immaginando un pubblico che mi ascolti, giusto per non essere tacciato di schizofrenia. A questo punto potreste chiedere che fine abbia fatto il nostalgico al quale stavo cercando di salvare le chiappe, ma prima, per una maggiore comprensione, sarebbe bene spiegare dal principio.
Tornavo da una noiosissima visita in un’abazia, intorno all’anno mille, dove avevo dovuto accompagnare un alto prelato a soggiornare in un monastero amanuense, ed ero in attesa che terminasse la fase di decontaminazione d’obbligo nell’apposita camera del rientro, rossa e con le pareti imbottite: un vero pugno all’occhio dell’estetica.
Ero seduto in silenzio di fronte al mio cliente, ancora talmente galvanizzato per l’esperienza, che proprio non voleva finirla di parlare. Il mio sguardo vacuo annuiva automaticamente a ogni sua parola, mentre la mia mente menefreghista era lontana, pronta a pregustarsi il meritato ponte festivo di ben quattro giorni che mi si presentava di fronte come una finestra spalancata su di un radioso mattino d’estate. Ma la fregatura assunse le sembianze di un piccione che, cagandomi in testa, mi riportò alla realtà.
La scritta di convocazione lampeggiante, comparve in tutta la sua bruttezza sulle pareti imbottite, poi fu letta da una suadente voce femminile. Ogni agente sa bene che se appare l’odioso e ipocrita messaggio la sera a ridosso di un weekend, e figuriamoci di un lungo ponte, l’opzione migliore è quella di fingersi immediatamente malato o nel caso morto.
“L’agente operativo 191173LA… una volta terminata la procedura di decontaminazione è convocato con la massima urgenza nell’ufficio del direttore. Grazie.”
“A tua sorella...” fu la mia spontanea risposta sussurrata, ma forse non abbastanza, visto lo sguardo sconcertato del monsignore. Subito cercai di arrampicarmi con le unghie sugli specchi.
“Dicevo… la sorella che l’ha accompagnata all’andata, verrà anche a riprenderla?” Funzionò a metà.
Fuori della stanza c’era come al solito Marlon, l’addetto alla sala controllo del viaggio temporale e sopra il suo bel faccione tondo e rossiccio, si stagliava il Tricolore accompagnato dal dipinto, fatto dal grande Rembrandt in persona, raffigurante il direttore che stringe la mano a sua maestà Luigi XIV, il re Sole. Ogni volta che guardo quell’opera, mi assale l’impulso irrefrenabile di abbellirlo con due grosse corna appuntite e dei folti baffi rossi: di quelli belli all’insù, mica dei semplici scarabocchi!
Alla faccia dell’urgenza, fui costretto ad aspettare, per ben tre quarti d’ora prima che mi ricevesse nel suo ufficio-tugurio, in quella che molti di noi chiamano: l’anticamera dell’inferno. L’unica forma di vita, a parte la mummificante presenza della signorina Benedetti, la segretaria del direttore, arcigna come una rugosa vecchietta di paese, era quella di un solitario e rarissimo pesciolino blu perso in un acquario dalle dimensioni mastodontiche anche per uno squalo balena adulto.
L’odore stantio di una cattiva areazione, si sposava con le luci soffuse che rasentavano la cecità e faceva un ménage à trois con l’odiosa ripetitiva musichetta di sottofondo. Era tutto molto divertente come un sabato sera nel Giurassico.
Poi il gracchiare dell’arpia mi diede il via libera.
“Il direttore ora può riceverla.” Concluse la frase con una specie di sorriso-ringhio di un chihuahua.
La porta, che a prima vista poteva sembrare blindata per quanto era massiccia, in realtà era quello che sembrava: blindata.
“Si accomodi.” M’invitò sorridente il direttore con la stessa gentilezza del pitone che ti struscia prima di stritolarti nelle sue spire. Subito cominciai a tossicchiare e a tirare su col naso, giusto per lanciare i primi segnali di un inizio d’influenza.
“Ho una richiesta che sono sicuro la inorgoglirà!” Feci spallucce come per dire: sono tutt’orecchie.
“Siamo stati contattati dal grande generale Galluzzi: l’eroe delle guerre lunari! È ormai in pensione da diversi anni, ma gli manca il brivido della battaglia e ha chiesto di poter rivivere…” ora avrebbe continuato con il suo classico: niente poco di meno che…
“…niente poco di meno che, l’annessione di Roma al Regno d’Italia! Ha già firmato e pagato un pacchetto all inclusive per questo week end! E indovini a chi toccherà l’onore di accompagnarlo?”
La mia risposta fu quella di uno starnuto esagerato in cui camuffavo il mio reale pensiero e che aveva a che fare più o meno con un pazzo.
“Scusi tanto, ma credo proprio di essermi buscato quella fastidiosa influenza che sta girando ora… comunque prendo subito dei medicinali, così sarò pronto per fare il viaggio, sperando solo che non mi venga la febbre alta…”
Paragrafo 7 del Capitolo 3 del regolamento aziendale: è severamente vietato per l’assistente intraprendere qualsiasi viaggio temporale se ha contratto qualsiasi forma virale.
Storcendo la bocca prelevò dal cassetto della scrivania una bacchetta metallica con la quale mi scansionò per pochi secondi.
“No, non ce ne sarà bisogno… qui dice che è sano come un pesce, piuttosto credo che sia solo una semplice allergia: prenda un antistaminico e domani sarà arzillo come il mio pesciolino blu nell’acquario. Anzi credo di avere con me, niente poco di meno che, la medicina adatta! Prego ne prenda pure una adesso e tenga la scatola, così non dovrà fermarsi neppure a comprarla.” Fregato.
Avrei volentieri infilato quella pastiglia, insieme ai suoi stramaledetti niente poco di meno che, direttamente nelle sue chiappe, ma dovetti fare le uniche due cose plausibili: ingoiarla e sorridere.
E fu così che gaudente mi ritrovai nel 1870, a fare da badante al glorioso generale Galluzzi, invece di spassarmela come gli altri colleghi.
L’anziano ciccione galoppava veloce come una giumenta in una prateria, incredibilmente agile per qualsiasi visione della realtà che non sia stata alterata da droghe. 
O la foga della battaglia lo aveva rapito a tal punto da conferirgli degli strani poteri, o ero io ad essere fisicamente riconducibile ad un canavaccio per asciugare i piatti. Forse le polpette al sugo con peperoni della sera prima, avevano iniziato a dare il meglio di loro.
“Fermo! Razza d’imbecille di un somaro ritardato!”
Eh sì che non si dovrebbe insultare un cliente, soprattutto se è un eroe di guerra, però quello aveva davvero esagerato! Fuori ogni controllo, in prima linea di fuoco, rischiava di farci fare fuori entrambi!
Il rischio grosso non era tanto che si facesse macellare da una cannonata o simile, quanto che ammazzasse qualcuno che quel giorno doveva rimanere vivo e vegeto, per poi obbligarmi a chiamare la pattuglia.
C’è una regola di base: la continuità storica ha precedenza su tutto. Su tutto! Per il resto, se un cliente muore, c’è un’assicurazione. Se l’assicurazione è una gold copre tutti i rischi e sono concessi un massimo di quattro tentativi di viaggi temporali riparatori per salvarlo. Ogni tentativo fallito mette a repentaglio il continuum, noi dell’agenzia possiamo tentare solo il primo. Gli altri due devono essere delegati a degli agenti della pattuglia temporale, mentre l’ultimo è l’annullamento del viaggio, con il relativo pagamento delle penali. Noi agenti, abbiamo la copertura gold da contratto, solo che ci sono stati dei rari casi speciali, in cui la continuità storica non poteva essere ripristinata, se non con la morte del soggetto da salvare. Una specie di cane che si morde la coda, dove la fregatura è l’unica alternativa. Tra l’altro giustificata.
Vi ricordate di Giannelli? Quello trafitto alla schiena dalla freccia mentre defecava dietro un cespuglio? Ecco, lui è stato uno di quei casi sfigati. Il poveraccio doveva scortare un tizio nella seconda metà del 1800, che voleva rivivere la vita di Tatanka Iyotanka, più noto come Toro Seduto. Come da programma erano previsti diversi salti temporali nei momenti più salienti della vita del capo indiano. È proprio nel 1872 nello Yellowstone River, nel fatidico momento in cui Toro Seduto si sedeva in piena linea di fuoco sprezzante del pericolo e delle pallottole a fumare la sua pipa con altri quattro guerrieri, che successe il fattaccio. Un attacco di diarrea fulminante costrinse Giannelli ad allontanarsi in fretta e furia dietro un cespuglio. Conosceva bene il momento storico e sapeva che aveva tutto il tempo necessario per tornare attivo. Se non fosse stato per quella freccia. Lo trapassò da parte a parte lasciandogli appena il tempo di richiedere aiuto prima di finire stecchito. A quel punto si attivarono subito le misure difensive, scattò l’allarme in centrale e il nostro primo intervento di emergenza. Giannelli prima del viaggio fu obbligato ad indossare una tuta di protezione e venne attivata la sincronizzazione temporale.
La smorfia di soddisfazione comparve sul volto dell’indiano dopo aver centrato, nuovamente, il suo bersaglio, ma invece di andarsene, decise di prendersi lo scalpo.
Ovviamente la tipica risposta ad un coltello che ti si avvicina alla testa, è un colpo di pistola al cuore. L’indiano cadde stecchito in men che non si dica e sembrò più o meno tutto risolto. La comparsa della pattuglia temporale nella centrale però diceva il contrario. L’indiano in questione, era uno dei quattro che si sarebbe dovuto sedere insieme a Toro Seduto e che sarebbe vissuto ancora abbastanza da partecipare a numerose altre battaglie: praticamente un altro pezzo di storia. In più la sua mancanza fu notata dal gran capo che si mise personalmente sulle sue tracce, saltando così la seduta storica. La ciliegina sulla torta fu quando Tatanka venne abbattuto da una pallottola vagante. Chiaro che era tutto da rifare.
La prima soluzione effettuata dalla pattuglia, fu quella in cui una volta che l’indiano avesse colpito con la freccia il collega, opportunatamente protetto, questo sarebbe stato immediatamente trasportato alla base, lasciando il nativo con la domanda esistenziale sul dove mai potesse essere finito il corpo, per poi riprendere il suo posto nella storia. Anche qui però subentrò la legge del: non tutto quello che è teoria, succede in pratica. L’indiano cercò il corpo e siccome non era uno stupido, capì che qualcosa di magico e potente lo aveva sottratto. Urlando di meraviglia si diresse da Toro Seduto, distraendolo il tempo necessario per farlo impallinare dal miglior tiratore che la storia abbia mai visto.
La seconda ideona della pattuglia, fu quella di salvare il collega colpito dalla freccia non appena si fosse accasciato dietro la siepe, sostituendolo velocemente con un cadavere preso all’obitorio e mai rivendicato, in modo che l’indiano potesse prenderne tranquillamente lo scalpo.
Per farla breve, l’indigeno accortosi che il corpo non era proprio fresco di prima morte, finì su tutte le furie, perdendo del tempo ad infierire sul corpo per puro sfregio. Quando raggiunse Toro Seduto, era in ritardo di dieci minuti sulla linea temporale e tanto bastò per far sfasare tutto.
Risultato: Toro Seduto andò di nuovo a far visita a Manitù.
Con la morte nel cuore, ma soprattutto nel conto bancario, la Time Travel dovette cedere alla temuta quarta opzione: l’annullamento dell’escursione; però quando il continuum temporale ti dice che non hai vie di fuga, non hai vie di fuga.
L’indiano non venne distratto da Giannelli, né gli corse dietro perché non era partito e si sedette coraggiosamente con Toro Seduto in mezzo al campo, tra le pallottole che fischiavano tutt’intorno, fino a quando non furono trucidati. Tutti e cinque. Si evinse subito che la presenza di Giannelli lì, era essenziale per il continuum temporale. Infatti, quel tempo che sembrava apparentemente perso dall’indiano per inseguire e colpire Giannelli, in realtà era stato necessario per coordinare i movimenti dei cinque indiani, in modo tale che le pallottole li mancassero miracolosamente!
Questo aneddoto spiega che la tempistica nella vita è importantissima, soprattutto se si lega al fattore fortuna.
In questo caso tutti i coefficienti insieme, avevano generato la microscopica probabilità per gli indiani di non essere centrati da un nugolo di proiettili. E già, basta un secondo sfalsato e zap: cambi canale su un’altra esistenza!
Chiaro come l’acqua di fonte, che il povero Giannelli fu dichiarato vittima sul lavoro, che il continuum temporale fu preservato e la linea temporale chiusa al pubblico.
Quindi, ritornando all’idiota, lo inseguii a lungo, evitando anche che uno zuava, dopo aver provato a impallinarmi, non m’infilzasse con la baionetta, finché finalmente non lo raggiunsi mentre stava, fatico ancora a capire come, per trafiggere un nemico in terra.
Mi gettai su di lui di peso, facendoci ruzzolare per diversi metri sulla terra. Ripresomi dall’intontimento, mi avvicinai al generale, scoprendo che era eccessivamente immobile.
“Oddio, l’ho stecchito!” Fu il mio primo pensiero, ma neanche troppo dispiaciuto a dirla tutta.
Lo visionai subito con l’unità medica diagnostica inserita nel palmo della mano destra e collegata ad Eloisa.
“Scanner diagnostico attivo. Segni vitali presenti. Soggetto in sincope vaso-vagale. Danni fisici di lieve intensità. Leggera commozione celebrale. Prognosi 4 giorni…”
 Per fortuna non era schiattato, ma solo privo di sensi. Mi guardai intorno e lo zuava che avevo salvato dalla botta di Alzheimer del mio cliente era sparito, solo che al suo posto erano spuntati quattro garibaldini coi fucili spianati che mi puntavano contro. Alzai le mani in segno di resa.
“Je suis un auxiliaires de servizi sanitarì! Viva l'Italiè!” Parlai in un misto italo-francese abbastanza comprensibile, giusto per giustificare la mia aggressione al generale e farmi inquadrare come militare straniero, piuttosto che come un italiano traditore. Per l’ultima frase, si, lo so, era un po’ da lecchini… ma credetemi: in certi frangenti è meglio un codardo vivo, che un eroe infilzato come uno spiedo.
Fu così che ebbi il piacere di essere aggregato insieme a tutti gli altri prigionieri dell’esercito pontificio.
Non potevo semplicemente ritornare all’agenzia per diverse ragioni: primo perché non sapevo che fine avesse fatto il generale e dovevo riportarlo a casa prima che combinasse qualcos’altro, ma soprattutto perché sparire magicamente davanti a tutti non è mai una bella cosa da far vedere o, cosa più grave, da registrare con le lenti recording, specialmente se firmi un contratto con una clausola che dice più o meno che: in caso di controversia legale autorizzo pienamente la Time Travel al controllo incondizionato di ogni frame audio video registrato con le lenti recording in dotazione, che all’evenienza potranno essere usate legalmente contro di me.
Se almeno l’avessi ucciso per davvero inavvertitamente nella caduta, un discreto avvocato avrebbe potuto giustificare l’accaduto come un tentativo di salvaguardia del continuum, risparmiandomi così parecchi grattacapi. Invece, per quanto ne potessi sapere, quello probabilmente se la passava meglio di me: di certo vezzeggiato in qualche struttura di ricovero per combattenti.
Comunque sapevo bene che l’indomani ci sarebbe stato lo scioglimento ufficiale dei reggimenti e che gli zuavi e gli altri francesi, sarebbero stati mandati a Civitavecchia per essere imbarcati verso Tolosa, a difendere la Francia contro l’invasione prussiana. Prima saremmo stati decorati con la medaglia della Croce petrina, poi avrei dovuto subirmi il raduno a Piazza San Pietro per salutare Pio IX e tutta la manfrina del discorso patetico del colonnello Allet, con tanto di benedizione papale… insomma, dovevo solo aspettare il momento propizio per tornare in agenzia e organizzare il recupero del vecchio rimbambito.
Una volta approdato in Francia, sarebbe stato facile defilarmi, trovare un posto appartato ed effettuare il salto in santa pace.
Lo sbarco fu uno dei momenti più liberatori della mia vita, quando finalmente mi allontanai dal fetore nauseante che emana chi non tocca l’acqua da mesi, ma forse anche da anni; dal brodoso rancio, che chiamarlo stomachevole era fargli un complimento e soprattutto dalla perenne compagnia dei topi di tutte le dimensioni immaginabili, che scorrazzando liberi infestavano la nave ovunque. Uno schifo allucinante.
Respirai a pieni polmoni l’aria del porto, che nonostante fosse satura dell’odore del pesce, era pur sempre meglio. Quando feci per staccarmi dal gruppo, cercando di non farmi notare, venni trattenuto per un braccio da un soldato, che euforico mi chiedeva di guardare un punto lontano.
“Senti amico, so che sei ancora su di giri, ma sinceramente non mi importa proprio nulla di… di…”
Strizzando gli occhi per cercare di oltrepassare i miei limiti visivi, osservai dove ormai tutti stavano guardando. Un reggimento di soldati francesi guidati da un drappello di cavalieri avanzava verso noi.
Un ufficiale aveva iniziato un discorso che sembrava importante, ma di cui io non capivo praticamente nulla, sia per la lontananza e sia perché quel cavolo di traduttore automatico non si decideva ad attivarsi nonostante le sberle che mi davo sull’orecchio come un mentecatto. Poi esplose un boato generale che assomigliava a quello prodotto da una curva di ultrà allo stadio dopo il goal della vittoria di campionato. Fui spinto e sballottato in mezzo ad una folla euforica che gridava parole confuse delle quali percepii solo alcuni frammenti: Pio IX, lotta, Imperatore.
Finalmente il traduttore si sintonizzò e fu il mio turno di strattonare qualcuno. Presi il primo che non sembrasse troppo tonto e cercai di comunicare con lui.
“Si può sapere che cosa succede?”
“La Francia ha vinto la guerra! Dio ha sterminato con una pestilenza tutti quei dannati prussiani, ma ha risparmiato i francesi! Napoleone vuole ringraziare il Signore e ci ha ordinato di tornare a Roma per restituire la città a sua santità Pio IX! Via il papa! Viva Napoleone III!”
E qui cascarono braccia e storia contemporaneamente.
Adesso c’era un altro buon motivo per cercare di andarsene di lì e tornarsene di corsa all’agenzia per avvertirli del casino creatosi. Ovviamente sarebbero stati sguinzagliati subito quelli della pattuglia.
Spintonando nella confusione della calca riuscii ad aprire pian piano un varco che mi condusse a ridosso della marea esultante. In pratica ero l’unico che andava controcorrente, ma tra un evviva e un urrà, passai inosservato fino ad imbucarmi in un vicolo, ritrovandomi di fronte ad una fatiscente costruzione in legno. Nel buio del retrobottega trovai l’occasione per attivare il mio time travel innestato sotto l’epidermide del braccio sinistro. Dopo aver inserito la sequenza d’autorizzazione, la scarica elettrica bluastra si propagò lentamente dalla mano e poi più rapidamente su tutto il braccio, in breve mi avvolse completamente scansionandomi gli atomi del corpo, per memorizzarli e poi spedirli nel viaggio temporale.
Quando intravidi le pareti rosse imbottite della cabina mi sentii a casa. Poi attesi con ansia il rinfrescante getto disinfettante sulla mia pelle che distruggeva le miriadi di germi, batteri e virus che ipocondricamente mi sentivo scorrazzare per tutto il corpo in una sorta di rave party.
Uscito fuori della cabina vidi il rassicurante volto rubicondo di Marlon che mi guardava perplesso.
“Scusa, ma il tuo accompagnato?” mi chiese attonito.
“Lunga storia Marlon, stavo giusto andando dal direttore per… per…” mi bloccai catturato da un particolare totalmente fuori posto: al posto del Tricolore c’era un inquietante stemma papale e sotto l’ancora più inquietante gigantografia del direttore sorridente, ma abbigliato con un bell’abito rosso porpora, seduto affianco del Papa.
Era chiaro che le conseguenze erano state più gravi di quanto immaginassi.
“Ma don, non cambi l’abito prima di andare dal vescovo?”
 Marlon finì la frase indicando lo scompartimento armadio aperto con appese delle tuniche da prete.
L’occhio mi ballò violentemente.
La prima cosa che si notava, a parte i crocifissi e i dipinti a sfondo religioso, era l’assenza della signorina Benedetti, sostituita egregiamente da una suora dall’aspetto ancor più sornione.
Anche il pesciolino blu era sparito e di questo ne rimasi dispiaciuto, mi ci ero affezionato. Al suo posto però, c’erano svariati pesci tropicali meno simpatici. I tempi di attesa da ufficio postale invece, erano rimasti gli stessi.
Quando sua eminenza il direttore si decise a ricevermi, lo comunicò alla suora che mi invitò a sua volta ad entrare con un semplice cenno del capo, accompagnato da un sorrisetto da allevatore di polli da batteria.
Essendo stato l’unico agente ad essere operativo in un giorno di festa, ero anche l’unico a conoscere la vera linea temporale. Il difficile adesso era spiegare che c’era stata una grave distorsione del continuum, a qualcuno che trovava totalmente normale tutto quel caos temporale. Grazie alle registrazioni delle lenti recording lo avrei facilmente convinto, poi avrebbe chiamato la pattuglia, loro avrebbero sistemato tutto e io sarei stato l’eroe da mostrare a tutti come esempio. Sentivo chiaramente l’odore della promozione inclusa dell’aumento di stipendio e perché no: di un bonus vacanza tutta pagata!
Aprì la porta dell’ufficio ma nel varcarla ebbi un capogiro.
Poi afferrai la maniglia della porta e l’aprii… nuovamente!
Il direttore era seduto sulla sua poltrona, abbigliato come sempre e vicino a lui c’erano due individui i cui muscoli facevano fatica a rimanere dentro i vestiti eleganti che indossavano. I loro volti erano impassibili e gli occhiali scuri a specchio nascondevano ogni possibile espressione. 
“Prego, entri pure, si accomodi…”
Barcollando mi diressi verso la poltrona libera posta al centro tra i due gorilla seduti come nei loro uffici.
“L’ho convocata per rassicurarla: questi sono gli agenti speciali della pattuglia temporale che hanno ritrovato il generale Galluzzi e poi ricondotto a casa sua sano e salvo.”
Lo sguardo ambiguo del direttore mi instillò più confusione delle sue parole.
“Ma… ma… il papa… Napoleone…” iniziai a balbettare come un demente tra gli imbarazzanti sguardi attoniti di tutti.
Uno dei due agenti si avvicinò al direttore sussurrandogli all’orecchio. Lui annuì seriamente e poi mi offrì un sorriso accondiscendente da agente immobiliare.
In quel preciso istante nel mio campo visivo apparvero come dei bagliori misti a immagini.
Vidi chiaramente il direttore abbigliato da Vescovo che mi porgeva l’anello di ametista vescovile.
Vidi che mi mostrava delle cartine geografiche in cui c’era un’Italia moderna divisa in tre stati, con i Borboni a sud, lo Stato Pontificio al centro e la repubblica al nord.
La Francia che si estendeva per mezza Europa, inglobando i territori della Germania, dei Paesi Bassi, dell’Austria e della Svizzera… poi tutto svanì con la stessa rapidità.
“Si sente bene? Forse ha bisogno di riposo…”
Non capì bene cosa fosse successo. Forse aveva ragione lui ed ero solo esaurito. Accettai la cosa senza rimuginare.
“Sì… credo di essere un po’ stanco…” sussurrai.
“Non si preoccupi, dopotutto la sua missione si è conclusa, può prendersi qualche giorno di stacco. Faccia una vacanza, si divaghi, esca con gli amici, vedrà che tra una settimana sarà un’altra persona. In fondo se l’è meritato!”
Annuendo mi alzai disorientato, come se avessi appena fatto un giro su una giostra troppo veloce. Non so se lo fossi per l’effettivo stress subito, o perché il direttore oltre ad essere stato assurdamente di una cordialità vomitevole, mi avesse servito su di un piatto d’argento una settimana di ferie. Sta di fatto che, rimbambito o no, accettai quella manna scesa dal cielo senza fiatare.
Quella notte stessa ebbi un sogno, o meglio quello che poi compresi essere un ricordo camuffato da sogno, che mi chiarì molte cose.
Nella visione un dottore m’impiantava sottopelle un piccolo dispositivo in testa, proprio sopra l’orecchio destro.
Appena sveglio mi diressi in bagno e dopo essermi abbondantemente lavato il viso, mi specchiai ripensando al sogno e con l’indice tastai la tempia. Fu quando toccai una specie di bottone dietro l’orecchio, che dalla testa partì una proiezione tridimensionale.
“Ma che diavolo…” sussultai spaventato prima di accomodarmi e ascoltare attentamente una voce informativa.
“Diario mentale. Riproduzione attivata.”
Nella proiezione mi fu spiegato tutto: dall’incontro con lo psicologo a ciò che avevo già intravisto in maniera fumosa nella stanza del direttore, ma più dettagliato. L’incontro col vescovo e il suo stupore quando gli rivelai la modifica del continuum temporale. La scoperta del nuovo assetto politico mondiale. Il suo rifiuto categorico nel voler far ritornare la normalità e la minaccia di farmi bruciare sul rogo per eresia. Fino alla colluttazione e all’arrivo della pattuglia… papale! A quel punto al me della proiezione non rimase che fuggire effettuando un salto temporale a Sedan nel 31 agosto del 1870: il giorno di quella che doveva essere la sconfitta di Napoleone III. Quel che vidi invece, furono le truppe francesi che quasi senza sparare un colpo, annientavano le ultime forze prussiane rimaste. Venni a sapere di un’epidemia di vaiolo che aveva sterminato tutta la famiglia reale Prussiana, incluso re Guglielmo I e il Cancelliere di Ferro, Otto von Bismarck, oltre a un numero elevatissimo e imprecisato di tedeschi. Questo faceva quadrare anche il discorso dell’egemonia francese in Europa, in particolare del suo dominio su tutti i territori che avrebbero dovuto comporre l’impero tedesco.
Inseguito dalla pattuglia che mi aveva rintracciato, decisi d’investigare sull’origine dell’epidemia, individuando la causa del morbo in una partita di coperte indiane infette e fatte pervenire nella corte reale e nei regimenti militari. Saltando i vari inseguimenti, da un’analisi venni a scoprire che il tessuto proveniva da una linea temporale situata a due anni nel futuro e che erano stati prodotti dalla tribù Sioux dei Dakota Hunkpapa: quella di Toro Seduto!
Non mi fu difficile capire chi avesse effettuato la consegna temporale, il perché però, ancora mi sfuggiva. Arrivai sul posto giusto in tempo per vedere Giannelli di fronte ad una pila di coperte indiane, in attesa dell’arrivo del contatto.
Chiaro che non si aspettava di vedermi, e quando gli chiesi perché lo stesse facendo, mi parlò di debiti di gioco con un ebreo che gli aveva chiesto di effettuare quella spedizione in cambio dell’azzeramento dei conti. Nella sua ingenuità credeva che fossero destinate a un ricco collezionista.
Poi il caos. Nell’ordine si presentò: l’acquirente ebreo, i due agenti della pattuglia papale e due di quella temporale della vecchia linea, non ancora sincronizzata, che erano andati a controllare che tutto fosse filato liscio.
Il risultato dell’inevitabile scontro apocalittico, fu che i due agenti papali rimasero uccisi, mentre l’ebreo che voleva eliminare il nazismo, arrestato. Giannelli invece, con la scusa che ci aveva aiutato nello scontro, fu perdonato. In realtà tutti noi sapevamo che da lì a poco, Giannelli era destinato ad avere un incontro ravvicinato con una freccia indiana. Con buona pace all’anima sua, gli lasciammo quell’ultima cagata di felicità e la sensazione di averla scampata. La registrazione terminò.
Quanto a me, intuii anche cosa fosse accaduto dopo.
Il direttore, stogatosi e vergognandosi della sua reazione, aveva provveduto a cancellare i miei ricordi, insieme alle registrazioni fatte dalle lenti recording, dimenticandosi però del diario mentale che aveva registrato tutto a parte.
Capii anche le sue parole criptiche sul fatto che in fondo la vacanza me l’ero meritata: altroché! Vecchio bastardo!
La domanda che si fecero tutti dopo, è su chi avesse mai potuto deturpare il Rembrandt che raffigurava il direttore.
Il povero Marlon fu torchiato inutilmente per ore.
Mah! Perché indagare?!

 

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