Lama
Lama
2 Settembre 2004
Affilo la lama della mia spada con tutta la devozione e la cura con cui si potrebbe maneggiare un oggetto sacro. Sento il suono del metallo che stridula sulla pietra e ammiro incantato lo scintillio quasi magico, di quelle minuscole stelle che esplodono nell’aria.
Domani sarà il giorno del destino. Domani saprò se vivrò ancora. Domani saprò se potrò mai vedere la luce riflettersi negli occhi di un figlio che tarda a farsi cullare. Domani…
Drin! Drin!
Eccolo. E’ lui che mi ricorda l’appuntamento.
“Pronto?”
Il mio tono non tradisce l’ansia che mi ribolle dentro.
“Sono io Montuorni.”
Mi chiama per nome per mantenere il distacco, ma il suono è pacato.
“Domani è il giorno prefissato. Sei preparato?”
Non c’è odio nella sue parole, ma solo un’evitabile verità.
“Si, lo sono. Sono anni che mi preparo.”
Nel contempo osservo i riflessi del sole del mattino che s’infrangono sulla spada.
“E’ inutile che ti ricordi il luogo e l’orario dell’appuntamento, volevo solo sapere se eri pronto e se…”
“Se ho avuto figli?”
Finisco io la frase che gli si era incastrata tra i denti.
“No Carcatella, non ne ho ancora avuti.”
Rispondo deciso e per nulla infastidito.
“Ah! Mi dispiace, questo potrebbe complicare le cose…”
E’ sincero, e in parte ha ragione.
“Non ti preoccupare ho provveduto a… diciamo, conservare al fresco la mia discendenza.”
“Capisco… avrei fatto lo stesso anch’io. A domani allora e che Dio ci preservi fino al momento.”
“Che Dio ci preservi e ci perdoni…”
Attacco e mentre continuo a curare la mia spada, lancio uno sguardo a lei, che avvolta dalle lenzuola ancora dorme all’oscuro di tutto. Penso a come sussulterà quando aprirà gli occhi e vedrà. Balbettando, chiederà spiegazioni. Saprò dargliele? Saprò dirle che devo farlo anche se non ne ho voglia. Saprò spiegarle l’assurda maledizione che da secoli affligge la mia famiglia? Ma soprattutto, saprò dirle che ho paura, paura di dire addio al nostro futuro? Inutile rimuginare, tra poco avrò le risposte, compresa la sua…
2 Settembre 1504
C’è puzzo. C’è sempre puzzo in questa dannata città! Ma chi voglio prendere in giro! È il mio odore quello che sento: l’odore della paura!
Domani è il gran giorno: il giorno della sfida. E giuro che caverò le budella di quel maledetto cane di Carcatella! Così come ha fatto il padre di suo padre con il padre del mio. Che sia maledetto dove si trovi per avermi messo in questa situazione di sventra intestini.
Onore… puah, dico io! Mi affaccio alla finestra e inevitabilmente noto che ogni sguardo è puntato furtivo verso di me. Guardali come mi scrutano! Lo sanno tutti, e vogliono sincerarsi che io possa fargli vincere le loro luride scommesse: gli sciacalli!
“Su chi avete puntato, è? Su di lui, o su di me?”
Sfiderei più volentieri uno di voi… si, magari te, che ti sei fatto cogliere in flagrante e ora corri e ti nascondi dietro il tuo cappello della vergogna. Ma che senso ha prendersela con loro. Moglie mia, chi sa se soffriresti di più per la mia assenza, o perché dovresti tirar su da sola questi tre nostri figli, eppur non dici niente e mi rispetti nel tuo doloroso silenzio.
Dov’è la mia spada? Ah, eccola! È ora che ti tiri a lucido bella mia. Finalmente, se Dio mi assisterà, domani assaggerai il sangue di un Carcatella e così l’equilibrio sarà ripristinato dopo cento anni: lama per lama, sangue per sangue… è questa la sfida, no? Tutto per il trofeo. Chi vince potrà tenerlo con sé per cento anni e avere così serenità e prosperità. Vorrei proprio vedere, se con il premio, il figlio di mio figlio sarà davvero così sereno tra cento anni quando arriverà il momento del suo duello! Così come non ne ho avuta io per tutta la mia vita al pensiero di domani. Vivere sempre nel terrore: amare, lavorare, sempre con una spina di ghiaccio nel cuore, che ti ricorda che hai un dovere da compiere, che l’onore deve essere riportato. Deve! Deve! Parlo come un vecchio pazzo oramai. Basta piangersi addosso. Ogni uomo ha il suo destino ed io ho il mio, per quanto possa essere assurdo.
2 Settembre 2004
Non è stato facile spiegarglielo. È andata via piangendo, non posso biasimarla. All'inizio era incredula, poi ha visto la luce della verità nei miei occhi ed è lì, che i suoi si sono accesi di dolore. Ha provato a dissuadermi, a mettere in gioco il nostro amore, a insultarmi, e alla fine, mi ha dato del pazzo ed è corsa via sbattendo la porta. So bene che si consumerà nel pianto fino a domani e che se anche dovessi vincere io, tutto tra noi assumerà una sfumatura differente. Prosperità e felicità…beh, spero davvero che sia vero, non vorrei trovarmi a fare a pezzi la reliquia per porre fine a tutta questa storia per sempre. Mi chiedo e mi stupisco del perché in tutti questi secoli non si sia mai trovato un accordo differente, che so, magari tenere l’oggetto un secolo a testa? Forse perché, come me, hanno sempre fatto passare il tempo nella paura e una mattina si sono svegliati scoprendo che quel giorno era già giunto? Oppure perché veramente il possedere il trofeo è investito da un benessere divino?
Penso anche alla bugia che ho detto al mio rivale. Non ho mai depositato il mio seme in quelle specie di banche. Sono l’ultimo discendente dei Montuorni e con me, potrebbero finire questi pazzi duelli, se mai domani cadrò trafitto. Nonno, quanto dolore può procurare una lama che ti lacera le carni? Quanto tempo potrebbe durare l’agonia? Come diceva quel tizio? L’ottimismo è il profumo della vita? Beh, ora ce ne vorrebbe un bel po’! Ho rabbia dentro di me, proprio ora che la mia vita cominciava a incanalarsi nel verso giusto. Ho rabbia anche per te padre. Perché quando te ne stavi per andare, mi hai fatto giurare di proseguire nel rituale? Perché ti ho detto di si, quando il mio cuore voleva solo dirti: ‘ti prego non chiedermi questo!’. Quanto vale la parola data ad un padre morente che ti chiede di mettere in gioco la tua vita? Se tu domani fossi qui, avresti il coraggio di guardarmi negli occhi e di dirmi: vai, è il tuo turno, come se fosse una semplice incontro di pugilato? Guardo per l’ennesima volta il documento che narra la storia, di come è iniziata la maledizione…
2 Settembre 1404
Finalmente dopo quasi un secolo, abbiamo raggiunto un compromesso. Io, Paolo Montuorni in accordo con Federico Carcatella, siamo giunti ad un epilogo che porterà gloria o disgrazia alle nostre famiglie. Era inevitabile. Troppo sangue è stato versato per un oggetto che dovrebbe parlare d’amore, ed è giusto, che solo noi primogeniti rispondessimo della nostra bramosia di possederlo. Scrivo queste parole, affinché il sapere attraversi il tempo e non cada nell'oblio.
Quando il padre di mio padre, tornò da quella terra santissima, non salvò soltanto la sua anima, ma anche questo oggetto che ogni dì miro estasiato. Salvato dall'eretica furia musulmana insieme al suo compagno e amico di tante battaglie, il cui nome ora ha il suono del disprezzo: Carcatella. Il Sacro Ordine dei Cavalieri Templari, si ormai sciolto da tempo, ma il nostro cuore ancora sussulta nel sol sentirlo nominare. Entrambi, malamente accusati d’eresia, fuggirono per trovare rifugio in queste terre che mi hanno dato i natali. A lungo durarono i diverbi su chi avrebbe dovuto avere l’onore di conservare il sacro oggetto. Le parole temperate lasciarono il posto ad altre più accese, e un pugno fu il preludio di una spada sguainata. Molte furono le lacrime versate da madri che non poterono più riabbracciare i loro figli. Da domani però, tutto questo sarà solo un ricordo. Ci sfideremo a singolar tenzone e il vincitore conserverà il privilegio, insieme al peso, per cento anni, fin quando un’altra sfida suggellerà un nuovo patto. Non so se il mio vecchio corpo malandato riuscirà a sopportare un fendente ben assestato del mio rivale e so anche che la sacralità di questo oggetto che mi ha protetto fino a oggi, domani finirà, perché ne metterò in discussione il possesso. A voi discendenza mia, il compito di ripristinare l’ordine e di perdonare la mia anima nel caso io fallissi.
Non nobis domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam…
2 Settembre 1504
“…nel caso io fallissi.” Nel caso non direi, ma nella certezza, dannato mangime per vermi! Guardami da lassù: è notte fonda, tra poco sarà l’alba e i miei occhi ancora non trovano riposo. Ho fatto l’amore con la mia donna per assaporare ancora una volta la vita. Non mi tirerò indietro, ma se domani dovessi fallire, verrò a cercarti per fartela pagare! Spero solo che il mio rivale questa notte sia irrequieto almeno quanto me. E pensare che in tutti questi anni, i nostri sguardi si sono incrociati solo poche volte. Si può uccidere un uomo che non si odia? Nonno, stai sicuro che quando estrarrò la lama, i suoi occhi mi parleranno di te e lì, avrò il coraggio e la forza per trafiggerlo!
Il cielo si sta schiarendo e tra non molto il gallo canterà, devo far presto.
Arrivederci moglie mia, so che in realtà non stai dormendo: è quella lacrima che ti tradisce. Grazie per la bella vita che mi hai donato. Cercherò di tornare per te e i miei figli.
3 Settembre 2004
Nonostante sia ancora estate, l’aria del mattino è pungente. I giurati sono già sul posto, manca solo il mio avversario. È strano, ma non sento molta agitazione, forse perché non ho nulla da perdere, l’ultima cosa davvero importante se n’è andata via ieri: Alessandra. Mio amore, potrai mai perdonarmi? Sta arrivando un fuoristrada. È lui. Scende dalla macchina e con un abbraccio saluta due uomini. Mi viene incontro, mentre in un nuvolone di polvere l’automobile si allontana.
“Ciao, hai qualcosa da dirmi prima del duello?”
Si atteggia come se ne avesse sostenuti mille ed intanto porge la spada ai giudici che in un silenzioso borbottio la soppesano. Faccio lo stesso anch'io e lo saluto con un cenno del capo.
“No, nulla. E tu?”
“Che è una bella giornata e che comunque vadano le cose, mi dispiace.”
È sicuro di vincere, vede il vuoto nei miei occhi.
“Idem.”
Intanto i giudici si degnano di rivolgerci la parola.
“Signori, siamo stati incaricati di vegliare sul corretto svolgimento del duello e sul ricordarvi che entrambi le parti non dovranno perseguire nessuna azione legale nei confronti dell’altro. Lo scontro terminerà solo con il decesso di uno dei due duellanti. Nel caso uno dei due volesse una pausa di 5 minuti, potrà richiederla, ma non in una fase determinante del duello.”
Burocrati della morte.
“Questo è l’oggetto conteso che andrà al vincitore per i prossimi cento anni.”
Quando uno dei due giudici solleva il coperchio di un piccolo e vecchio forziere, un bagliore quasi accecante si sprigiona all'improvviso. Sobbalzo nel vederlo e un nodo alla gola mi fa capire del perché quell'oggetto sia tanto desiderato. I miei occhi non avrebbero mai creduto di poter contemplare una simile bellezza. Anche uno scettico convinto, osservandolo, direbbe che quell'oggetto sembra essere impregnato in ogni suo particolare dalla luce di Dio. Così come ero stato circondato dall'aureola mistica del suo potere magnetico, un violento dispiacere mi avvolge quando il cofano viene richiuso.
“Che il duello abbia inizio.”
Mi desto con quelle parole, mentre quasi senza accorgermene mi ritrovo con la spada sguainata.
Dapprima ci studiamo muovendoci lentamente in tondo tra la polvere.
È lui che sferra il primo colpo. Lo paro facilmente. Anni di studio di scherma mi portano a fare dei gesti automatici. Eccolo, torna all'attacco. Le lame si incontrano ancora. All'inizio delicatamente quasi si vogliano assaporare tra loro. Poi il ritmo sale, scandito dal suono del cozzare metallico. Incalza a ogni colpo. È bravo e cerca di guadagnare terreno. Trovo un buco, una fessura e colpisco di striscio. Un leggero gemito. Da una sua guancia un rivolo di sangue comincia a scivolare. Si ritrae e sconcertato osserva la rossa linfa sulle sue mani. Non credo che mi sottovaluterà più. Nei suoi occhi ora vedo rabbia e paura. Più la seconda a dirla tutta. È buffo come tutto mi sembri surreale. Il lupo ferito mi si scaglia contro, con tutta la determinazione di chi attacca per panico. I colpi si susseguono incalzanti, il rumore accende l’aria e il sudore comincia a colare fastidioso sul viso. Non c’è spazio per nessun pensiero, né tanto meno per nessuna distrazione. Sul campo ci siamo solo noi: due uomini che giocano con il loro destino proiettati fuori dal tempo, per un tempo che non c’è più.
L’affanno ora si fa sentire e in un momento di tregua, chiediamo la pausa che ci spetta.
3 Settembre 1504
Ho conficcato la spada nel terreno. Sorseggiando l’acqua assaporo ogni momento della pausa. Ho perso del sangue, ma anche il mio rivale non è conciato meglio. Non credo che lo scontro durerà ancora per molto. Uno dei due tra poco crollerà e non voglio esserlo di certo io!
3 Settembre 2004
Solo ora mi rendo conto che Alessandra mi ha messo un biglietto nella tasca dei pantaloni. Non ci voglio credere… sarò padre! Perché ora, dannazione! Quale destino beffardo si è preso gioco di me! Se vivrò, sarò un assassino agli occhi di mio figlio, ma se la mia vita terminerà qui, perderò per sempre l’occasione di vederlo crescere felice. Il piccolo gong ci avverte che il tempo è scaduto. Ora i miei occhi emanano la furia del leone che deve proteggere i suoi cuccioli. Mi scaglio sul mio avversario con tutta la potenza che ho in corpo. Rimane spiazzato, cerca di riguadagnare l’equilibrio ma... è troppo tardi! Cade a terra e la sua spada gli scivola volando lontano. Come un angelo vendicatore gli sono sopra, pronto a infliggere il colpo finale su un uomo che ha lo sguardo pietrificato dal dolore di chi vede la morte.
3 Settembre 1504
La mia lama affonda morbida nel suo ventre. Un urlo straziante di dolore fa capire che è tutto finito. Estraggo la spada e osservo quell'uomo morente in ginocchio, chiedersi se ne valeva la pena. Rispondo io per lui: “no”. Domani realizzerò su quanto è stato facile uccidere. Ora vado verso la mia vera ricompensa: la libertà. Moglie, figli, sto tornando a casa vincitore, datemi il ben tornato e del buon vino.
3 Settembre 2004
Mi blocco. L’ira sfuma delicatamente. Non ce la faccio. Non posso uccidere, io non sono chi è stato prima di me. Mi allontano da quell’uomo a cui ho risparmiato la vita, anche se penso che in realtà l’abbia risparmiata a me. Mi guarda ancora incredulo.
“Prendilo tu il trofeo, io sono stanco. Ai miei figli non imporrò la stessa tortura che abbiamo vissuto noi. Se questo è il prezzo, preferisco avere quella normalità che mi è stata rubata, ma che può portare alla felicità.”
“E i nostri padri? Che cosa penseranno ora?”
Sorrido a quella domanda.
“Sinceramente non lo so, ma io sono pronto a perdonarli.”
“Aspetta!”
Mi volto ancora.
“Prendilo tu. E dì a tuo nipote che tra cento anni saremo pronti a conservarlo noi per altri cento.”
Rifletto. Beh, in fondo me lo sono guadagnato, no? Porgendogli la mano lo aiuto a rialzarsi e sorridendo suggelliamo un nuovo patto. Penso al mio amore che ci ha salvato la vita a entrambi. Saluto il mio ex rivale e corro da lei… da loro, ho tanto tempo da recuperare: almeno cento anni!
FINE
04-09-2004